La Vergogna: tra giudizio di sè, dell’altro e della società
La vergogna è un’emozione sociale che ognuno di noi sperimenta quando la nostra immagine (come appariamo nei confronti degli altri) e la nostra autoimmagine (come appariamo nei confronti di noi stessi) sono state o stanno per essere compromesse. Lo scopo principale è infatti quello di proteggere l’immagine ideale di noi stessi che si vorrebbe mostrare agli altri e, di conseguenza, tale emozione può insorgere quando si crea un conflitto tra l’immagine di sè ideale e quella reale.
E’ interessante notare come la vergogna, quando genera un’attribuzione agli altri di pensieri negativi su di sé, riesca anche a limitare le funzioni della Teoria della Mente (la capacità di saper attribuire a sé e agli altri stati mentali e agire sulla base di questi e prevedere il comportamento altrui). Ciò è infatti un grosso limite che condiziona lo sviluppo delle conoscenze sociali poiché si generano errori cognitivi sia nella comprensione delle interazioni altrui sia nella valutazione delle conseguenze dei propri comportamenti sugli altri.
A livello non verbale, tale emozione si manifesta con il rossore, l’abbassamento della testa e dello sguardo. Il rossore è un effetto vergogna involontario e sincero che non può essere prodotto intenzionalmente o simulata. Tale comportamento mostra sia la sensibilità del soggetto di fronte alla valutazione altrui sia la condivisione dei criteri in base a cui tale valutazione avviene sia il dispiacere per le proprie inadeguatezze o mancanze presunte e consiste sostanzialmente in un atto di scusa volto ad eliminare eventuali aggressioni o sanzioni sociali. Oltre che con il rossore, la vergogna si manifesta attraverso il capo e gli occhi bassi che evitano lo sguardo degli altri. Questi segni non verbali manifestati da chi si vergogna esprimono la volontà di nascondersi e di sottrarsi dal giudizio altrui. Dunque, l’abbassamento della testa e dello sguardo, costituiscono, insieme al rossore, dei segnali di acquietamento o di pacificazione del soggetto che prova vergogna il quale è come se si consegnasse al giudizio degli altri chiedendo implicitamente venia per non essere aggredito.
Alcuni autori hanno proposto che l’elevata sensibilità alla vergogna potrebbe derivare da esperienze negative in età evolutiva come umiliazioni e trascuratezza, critiche e rifiuti, atteggiamenti degradanti o di sottomissione. Ciò sembrerebbe avere un forte impatto sullo sviluppo dell’identità e sulle rappresentazioni di sé in quanto costituiscono dei fattori fortemente predisponenti alla psicopatologia.
La vergogna, nonostante sia da alcuni autori considerata una parente strettissima dell’imbarazzo, differisce da quest’ultima emozione per il livello di intensità. Infatti l’imbarazzo è un’emozione più mite e non turba i pensieri, il linguaggio, l’immagine e l’autoimmagine. Inoltre, in relazione agli aspetti non verbali, l’imbarazzato ha una mimica e una gestualità che si alterna tra l’evitamento e l’avvicinamento caratterizzata dallo sguardo furtivo che si volge ripetutamente verso l’altro e poi lo sfugge e da un sorrisetto appena accennato mentre la vergogna è più sconvolgente e catastrofica in quanto associata al desiderio di nascondersi e/o di scomparire.
BIBLIOGRAFIA
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- Tomkins S.S., “Affect, imagery and consciousness” (1963)
Il Senso di Colpa: schiacciati dall’eccessiva responsabilità
INTRODUZIONE
Il senso di colpa è un’emozione che si prova quando ogni persona si attribuisce un’eccessiva responsabilità per le proprie presunte mancanze. (altro…)
Learn MoreL’Invidia: l’insoddisfazione come possibilità di miglioramento
L’invidia è un’emozione caratterizzata da un confronto di potere tra due persone rispetto ad un determinato obiettivo (cioè l’invidioso vorrebbe per sé ciò che è dell’invidiato), dalla credenza soggettiva di avere meno potere rispetto a colui che si invidia e dal malanimo (il desiderare il male dell’altro) dell’invidioso speranzoso che l’invidiato non raggiunga i propri scopi. Gli scopi non raggiunti attivati da tale emozione sono principalmente quelli relativi al potere, all’immagine (come appariamo nei confronti degli altri) e all’autoimmagine (come appariamo nei confronti di noi stessi). Questa emozione serve a riequilibrare una differenza di potere che ci mette in condizioni di inferiorità e quindi ognuno di noi la sperimenta con la finalità di migliorarsi.
Molto spesso l’invidia viene erroneamente confusa con la gelosia ma, mentre l’invidia fa riferimento alla sofferenza per la mancanza di qualcosa che altri hanno e che non ci è mai appartenuta, la gelosia è un’emozione che si sperimenta quando si teme di perdere qualcosa che è già in nostro possesso. Un’altra differenza tra le due emozioni è l’impatto che hanno sulla nostra società. Infatti, si è più tolleranti in genere verso la gelosia poiché ci si mette nei panni dell’altro che cerca di difendere ciò che è suo per evitare di soffrire. Contrariamente, l’invidia è fortemente condannata a livello sociale e gli invidiosi, temendo di essere etichettati come individui dotati di bassezza morale, affermano di non provarla non essendo dunque sinceri con loro stessi poiché ciò è anche doloroso e fastidioso da ammettere.
Inoltre, mi preme sottolineare quanto anche l’arte riesca a rappresentare egregiamente le caratteristiche più salienti di tale emozione. L‘Invidia di Giotto è un affresco conservato Cappella degli Scrovegni a Padova. L’opera raffigura una donna anziana che nella mano sinistra stringe con vigore un sacchetto di denaro che rappresenta il materialismo estremo mentre la mano destra protesa ad afferrare simboleggia la brama di potere incontrastato. Le orecchie grandi fanno riferimento all’impetuosità nel cercare il pettegolezzo per spargerlo senza ritegno e senza considerare le conseguenze dannose mentre la diabolica serpe le esce dalla bocca e le entra negli occhi accecandole lo sguardo. E’ molto interessante notare come quest’ultima caratteristica sia coerente con l’etimologia della parola “Invidia” che deriva dal latino classico “in + video” a cui possiamo attribuire il significato o di “non vedere” o di “vedere in modo malevolo”. Infine, la fiamma viva e ardente rappresenta un chiaro riferimento all’invidioso che, tentando e sperando di “ardere” e dunque di eliminare totalmente le qualità e i beni dell’altro con la vana speranza di innalzare se stesso, finisce esclusivamente con l’autodanneggiarsi, diventando egli stesso la causa della propria frustrazione.
Tuttavia esiste anche una versione “buona” dell’invidia caratterizzata dall’assenza di malanimo, da una forma di apprezzamento dell’altro e dei suoi successi ed è spesso associata ad un desiderio di imitazione. In questo caso, un’affermazione come “ti invidio”, assume dunque una connotazione positiva in quanto è da intendere come “vorrei essere al tuo posto perché ciò che hai o ciò che sei è per me di valore”. Questa forma di invidia molto più morbida è facilmente confessabile e, se dichiarata al destinatario, rappresenta dunque un sincero complimento.
BIBLIOGRAFIA
- Castelfranchi C., “Che figura. Emozioni e immagine sociale” (2005)
- Castelfranchi C., Mancini F., Miceli M., “Fondamenti di cognitivismo clinico” (2001)
- Lewis M., “Il sé a nudo. Alle origini della vergogna” (1995)
- Pisani G., “Il capolavoro di Giotto. La Cappella degli Scrovegni” (2015)
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