Perchè è importante avere una diagnosi personalizzata in psicoterapia?
Nonostante gli straordinari progressi degli ultimi vent’anni, la psicoterapia e la medicina moderna tenderebbero talvolta ad uscire “fuori binario” perdendo il suo principale soggetto di interesse: il cliente con il suo vissuto personale e il contesto di riferimento in cui vive. Molto spesso l’approccio contemporaneo tende infatti a concentrarsi sui sintomi, proponendo esclusivamente terapie farmacologiche per gestirli, dimenticando di indagare tutto ciò che ha contribuito a generarli. Questo modo rigido di lavorare sarebbe un grave errore iatrogeno poiché si rischierebbe di oscurare la necessità di una diagnosi precisa e personalizzata.
Il processo diagnostico diventa ancora più articolato nel campo della salute mentale: Infatti, la maggior parte dei professionisti della salute mentale viene investita da una credenza molto pericolosa: temono che il loro cliente possa rimanere intrappolato dietro un’etichetta diagnostica.
Nonostante siano passati quasi 150 anni dalla nascita della psicologia sperimentale in Germania (𝑊𝑢𝑛𝑑𝑡, 1879) e da più di 30 anni la professione di psicologo sia regolamentata in Italia (𝐿𝑒𝑔𝑔𝑒 𝑛.56/1989), comunemente molte persone, a differenza del funzionamento delle più comuni malattie di origine organica, non conoscono bene cosa sia una malattia mentale e le conseguenze sulla qualità della vita, ghettizzando, ignorando e molte volte sbeffeggiando (ahime!) una realtà esistente e purtroppo sempre più in aumento. Infatti, la psicopatologia, al pari di una carie, un’otite o di una distorsione muscolare, può colpire ognuno di noi a prescindere dall’età, dal sesso, dal lavoro che facciamo e dalla nazione in cui viviamo. La malattia mentale non ha una causa unica ma origina dall’interazione intricata e variabile di 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐛𝐢𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐢 (genetici, biochimici, ecc.), 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐢 (umore, personalità, comportamento ecc.) e 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢 come la cultura di riferimento e lo status socioeconomico (𝐺. 𝐿. 𝐸𝑛𝑔𝑒𝑙, 1977). Ogni tipo di psicopatologia, alla pari di qualsiasi altra malattia come il diabete o una pancreatite, è composta e va diagnosticata secondo degli specifici criteri emotivi, cognitivi e comportamentali.
Ricevere infatti la diagnosi (es. depressione, ansia generalizzata, disturbo di personalità, disturbo da stress post traumatico etc.) non deve essere vissuto come un’etichetta stigmatizzante perché è un cruciale punto di partenza che aiuterà la persona a capire che il proprio dolore esiste, ha un funzionamento specifico e che soprattutto può essere gestito, contenuto e risolto. Inoltre, la restituzione di una diagnosi richiede un’attenzione particolare da parte dello specialista sia in termini di modalità sia di tempistica. Infatti, potrebbe accadere che il cliente non possa accogliere l’informazione in modo positivo o costruttivo. In questi casi, è dunque di fondamentale importanza che il professionista della salute mentale a cui chiedete aiuto condivida sempre con voi nel dettaglio come il “vostro nemico comune” stia rovinando la qualità della vita ma soprattutto comunichi con un linguaggio comprensibile quali sono i 𝐦𝐞𝐭𝐨𝐝𝐢 𝐛𝐚𝐬𝐚𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐜𝐢𝐧𝐚 𝐬𝐮𝐥𝐥’𝐞𝐯𝐢𝐝𝐞𝐧𝐳𝐚 (𝐄𝐁𝐌) che con alto tasso di successo saranno maggiormente efficaci in relazione alla diagnosi effettuata. Non procedere in questo modo, potrebbe comportare azioni tecnicamente scorrette come il mancato utilizzo di strumenti preziosi come i test diagnostici o le interviste semistrutturate. Il prezzo da pagare sarebbe correre il rischio di impostare un percorso terapeutico senza aver identificato correttamente il problema, con un potenziale grave danno alla persona che richiede aiuto.
Molte volte è capitato nella mia pratica clinica che le persone che si sono rivolte a me per effettuare una consulenza specialistica mi abbiano riferito di non avere nessuna idea di come funzionasse la prima visita o l’intero percorso con uno psicoterapeuta, procrastinando così per diversi mesi o anni la loro richiesta d’aiuto e permettendo così alla propria sofferenza di proliferare indisturbata.
Una personalizzazione del trattamento di una psicopatologia gioca dunque un ruolo centrale sia in psicoterapia sia in medicina e andrebbe effettuata seguendo questi 4 punti:
- PRIMO COLLOQUIO (Valutazione della richiesta del cliente, dei sintomi che generano sofferenza dal punto di vista di frequenza, durata ed intensità a livello sociale, personali, lavorativo e scolastico e le motivazioni per cui ha richiesto di chiedere aiuto;
- VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA (Somministrazione dei test scelti ad hoc che, insieme al colloquio clinico, saranno utili per misurare sia la gravità dei sintomi sia l’eventuale presenza di altre forme di psicopatologia in comorbidità;
- ANAMNESI PSICOLOGICA E MEDICA (Esplorazione della presenza di patologie organiche e/o dei fattori psicologici che hanno contribuito a generare ma soprattutto a mantenere le problematiche che causano disagio clinicamente significativo nel presente
- DIAGNOSI E PIANO TERAPEUTICO (Informare il cliente sul funzionamento della sua personalità, sul come ed il perché soffre e sui metodi scientificamente validi in medicina e in psicoterapia per la riduzione e/o la scomparsa del disagio psicofisico)
La diagnosi e la definizione del piano terapeutico vanno ben oltre la semplice identificazione di una malattia o di un disturbo ma è un modo scientificamente corretto di procedere per un’ottimale pianificazione del percorso terapeutico mirato per ogni individuo. Tutto ciò può migliorare significativamente la qualità della vita di chi richiede aiuto, accelerando il tempo necessario per la guarigione e riducendo il rischio di aggravamenti o effetti collaterali dei farmaci. Nonostante questi enormi vantaggi per lo specialista e per il paziente, la diagnosi viene ancora molto spesso messa in ombra. Come già accennato ad inizio di questo articolo, è fondamentale ricordare anche che ogni individuo è unico, con una propria storia di vita e un proprio contesto. Le esperienze passate, le condizioni ambientali, la genetica e molti altri fattori hanno infatti una forte la salute di una persona. Non bisogna dunque trascurare questi aspetti in un sistema di diagnosi generalizzato che spesso tende a concentrarsi esclusivamente sui sintomi anziché sulla persona nel suo complesso.
La medicina e la psicoterapia personalizzata devono dunque riconoscere l’unicità di ogni individuo e cercare di fornire cure su misura per le sue esigenze specifiche, utilizzando metodi evidence based. Inoltre, tutto ciò aiuta le persone a sentirsi viste e capite, rafforzando il loro coinvolgimento nel processo di cura e incoraggiando una migliore adesione al trattamento. La medicina e la psicoterapia non devono considerare l’individuo non solo come un insieme di sintomi ma un individuo a tutto tondo.
BIBLIOGRAFIA
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- Engel G. L., “The need for a new medical model: a challenge for biomedicine” (1977)
- Sassaroli S., Ruggiero G. M., “Il colloquio in psicoterapia cognitiva. Tecnica e pratica clinica” (2013)
Trauma psicologico e patologie gastrointestinali: quale legame?
Il trauma psicologico può essere definito come un “evento emotivamente non sostenibile per chi lo subisce” (Liotti, Farina, 2011) o “un evento stressante dal quale non ci si può sottrarre poiché sovrasta le capacità di resistenza dell’individuo” (van der Kolk, 1996). Tra le tante esperienze che possono scatenare un trauma psicologico troviamo possono esserci calamità naturali (es. incendi, alluvioni, terremoti etc.), guerra, torture, violenza domestica, trascuratezza genitoriale, abusi sessuali, mobbing, quarantena, isolamento forzato e sequestro di persona, incidenti stradali, rapine e disastri aerei, malattie croniche (es. fibromialgia) o prognosi gravi (es. tumori, gravi patologie neurologiche etc.), rotture sentimentali o amicali e lutti complicati o traumatici.
Secondo le recenti ricerche scientifiche, il trauma della psiche è un rilevante fattore di vulnerabilità per il successivo sviluppo delle patologie infiammatorie croniche dell’apparato digerente (Morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa, sindrome del colon irritabile etc.). Infatti, quando le persone assistono o sono vittime di un evento o una serie di eventi di tipo traumatico recenti o vissuti in età infantile, presentano delle modificazioni strutturali del Sistema Nervoso Centrale (SNC) come l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo. In quest’ultima area cerebrale è presente infatti un “processore” che coordina il legame tra la memoria traumatica e le sensazioni ad esso associate. Infatti, oltre ai traumi legati ai singoli eventi, anche ricevere la diagnosi di una malattia cronica rappresenta un evento ad alto impatto emotivo.
Per questo motivo, oltre alle terapie prescritte da gastroenterologi, endocrinologi e nutrizionisti che agiscono prettamente sul sintomo, è di cruciale importanza abbinare la terapia medica ad un percorso con uno psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale e perfezionato nel trattamento EMDR e nella Flash Technique per agire sulle cause psicologiche associate ai sintomi stessi. Infatti, ad oggi, le linee guida dell’OMS sostengono che “la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale individuale o di gruppo (CBT) focalizzata sul trauma oppure la Desensibilizzazione e la Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (EMDR) dovrebbero essere indicare per bambini, adolescenti e adulti con Disturbo Post Traumatico da Stress” (OMS, 2013).
Così, solo affidandosi a dei professionisti specializzati in questi metodi basati su dati scientifici di alta rilevanza, le persone riusciranno a rielaborare gli eventi traumatici e le emozioni e le sensazioni ad essi associati facendo in modo che questi non rechino più fastidio e disagio nel presente. Tale processo sarà di cruciale importanza poiché si sperimenterà anche una considerevole riduzione e/o addirittura la totale la scomparsa di tutti i sintomi associati alle patologie dell’apparato digerente, riuscendo a recuperare la serenità e migliorando la propria qualità della vita.
BIBLIOGRAFIA
- Faretta E., “EMDR e psicosomatica. Il dialogo tra mente e corpo” (2020)
- Grant M. & Spagnolo P., “EMDR e dolore cronico. Quando è il corpo a parlare” (2021)
- Shapiro F., “EMDR. Principi fondamentali, protocolli e procedure (2019)
- Van Der Kolk B., “Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche” (2015)
- Verardo A. R. & Lauretti G., “Riparare il trauma infantile. Manuale teorico d’integrazione tra sistemi motivazionali ed EMDR” (2020)
SITOGRAFIA
- www.emdr.it
- www.who.int
Perché e come il trauma psicologico si trasmette da una generazione all’altra?
Un trauma psicologico non è soltanto un evento in cui la propria sopravvivenza o incolumità vengono minacciate ma ciò comprende qualsiasi tipo di evento ripetuto nel tempo che viene percepito da un soggetto come non sostenibile dal punto di vista emotivo. Tra questi troviamo infatti calamità naturali (es. incendi, alluvioni terremoti etc.), guerra, torture, violenza domestica, trascuratezza genitoriale e abusi psicologici e sessuali, quarantena, isolamento forzato e sequestro di persona, incidenti stradali, rapine, disastri aerei, malattie o prognosi gravi e lutti complicati o traumatici.
Gli studi condotti negli ultimi anni confermano come le conseguenze di eventi particolarmente stressanti, se non adeguatamente rielaborate, possono trasmettersi da genitore, al figlio e al nipote, costituendo quella che noi psicotraumatologi chiamano trasmissione transgenerazionale del trauma.
Anche il padre della psicoanalisi Sigmund Freud e ancor prima di lui Pierre Janet parlarono di trasmissione filogenetica nei primi del Novecento, formulando l’ipotesi che gli eventi traumatici potessero essere trasmessi di generazione in generazione.
Ad oggi le ipotesi di Freud e Janet sono state confermate dall’epigenetica, la scienza che studia l’espressione e la variazione del nostro patrimonio genetico. Queste modifiche non si riferiscono a cambiamenti di tipo strutturale del DNA (genotipo), ma solamente nell’espressione genica (fenotipo). Infatti, le tracce lasciate dall’esposizione ad un fattore ambientale stressante o ad un grave trauma psicologico lasciano dei segni sul rivestimento chimico dei cromosomi (metilazione). In questo rivestimento è contenuta la “memoria” di ogni cellula del corpo che viene immagazzinato come ricordo “fisico” dell’evento che viene trasmesso durante la procreazione di generazione in generazione, regolando il grado e il tipo di espressione genetica, cioè come caratteristiche emotive e comportamentali si manifestano.
Quali sono le ipotesi che confermano gli effetti transgenerazionali e intergenerazionali del trauma?
- La traumatizzazione secondaria: è necessario identificare in ogni generazione un effetto epigenetico o un disfunzionalità biologica, ipotizzando sia un effetto comportamentale. In poche parole, avere un genitore traumatizzato mette maggiormente a rischio la persona di sviluppare una disregolazione epigenetica:
- La riprogrammazione fetale: se una madre in gravidanza è esposta ad eventi particolarmente stressanti, il feto in utero subisce non solo modifiche a livello ormonale ma anche nelle cellule embrionale che definiscono l’assetto epigenetico;
- L’effetto transgenerazionale: si riferisce ai comportamenti e alle credenze disfunzionali del genitore sul figlio che contribuisce a modificare la trasmissione di modificazioni epigenetiche;
A sostegno di ciò, gli studi sui figli dei sopravvissuti all’Olocausto hanno dimostrato come queste persone abbiano una tendenza a sviluppare ansia o depressione ed hanno una ridotta capacità di resilienza nel fronteggiare eventi stressanti con ricadute negative sul funzionamento personale, lavorativo e scolastico.
Dunque, l’EMDR e la Flash Technique possono essere quindi largamente utilizzate per bloccare la trasmissione transgenerazionale del trauma poiché il meccanismo epigenetico è fortunatamente reversibile in quanto non rappresenta una modifica strutturale del DNA.
BIBLIOGRAFIA
- Amabili M., Di Domenico A., (2024). La Flash Technique. Rendere più accessibili e rielaborare le memorie traumatiche più travolgenti. Giovanni Fioriti Editore, Roma
- Fernandez I, Verardo A. R., “EMDR: modello e applicazioni cliniche” (2019)
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- Liotti G., Farina B., “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa” (2011)
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- Verardo A. R., Lauretti G., “Riparare il trauma infantile. Manuale teorico d’integrazione tra sistemi motivazionali ed EMDR” (2020)
Conoscere e trattare il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD), conosciuto anche con l’acronimo italiano DDAI, è un disturbo neurobiologico che inizia nell’infanzia e continua nell’adolescenza e nell’età adulta. Tale psicopatologia è caratterizzata da iperattività, impulsività e da una forte difficoltà nell’orientare e nel mantenere l’attenzione. Tali caratteristiche riducono e interferiscono con il funzionamento scolastico, sociale e lavorativo della persona, compromettendo la qualità della sua vita.
La disattenzione non è caratterizzata da un atteggiamento di sfida ma si manifesta attraverso la distrazione da un compito, la mancanza di costanza e di organizzazione (es. svolgimento dei compiti a casa). L‘iperattività si esprime invece attraverso un’eccessivo parlare e ad una continua attività motoria (come se il bambino fosse guidato da un “motorino che non si scarica mai”). L’impulsività si accentua con l’inizio dell’adolescenza e si manifesta attraverso azioni affrettate e non premeditate che possono compromettere la vita dell’individuo in quanto è inconsapevole delle conseguenze delle azioni pericolose.
Gli individui con ADHD hanno dunque marcate difficoltà in tutte le attività in cui sono richiesti degli sforzi cognitivi prolungati. A scuola e a casa sono presenti delle difficoltà nel seguire le regole, la lentezza ed l’incapacità nel capire ed eseguire dei compiti (non è infrequente infatti che chiedano più volte la stessa informazione). Inoltre, nei giochi o nelle attività sociali, difficilmente riescono ad attendere il loro turno e tendono ad interrompere gli altri senza riuscire a cogliere i limiti e i confini delle regole sociali. A ciò, si aggiungono problemi di organizzazione che comportano il danneggiamento e lo smarrimento di materiale scolastico e di oggetti personali. Inoltre, data la facile distraibilità a causa della grande difficoltà nel gestire l’attenzione, è molto frequente che, durante un compito, distolgano lo sguardo perché facilmente distraibili da stimoli apparentemente irrilevanti.
Non è raro che questa patologia possa presentarsi insieme ad altri disturbi mentali come il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo – provocatorio, i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, i disturbi del linguaggio e i disturbi dell’apprendimento. Nell’età adulta, i soggetti con tale diagnosi sono esposti ad un rischio 5 volte maggiore rispetto alle persone prive di psicopatologia di sviluppare un disturbo da abuso di sostanze, disturbi di personalità (soprattutto del cluster B) e altri disturbi psichiatrici.
La terapia per l‘ADHD mira alla riduzione dei sintomi e ad introdurre il soggetto nel suo ambiente di vita. Per raggiungere tale obiettivo, oltre una buona collaborazione da parte del contesto scolastico, le linee guida internazionali suggeriscono di rivolgersi ad uno psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Lo scopo della terapia sarà insegnare al bambino e all’adulto a gestire le proprie emozioni e, contemporaneamente, si lavorerà sullo sviluppo di strategie comportamentali mirate all’aumento delle capacità di autocontrollo e organizzazione. Inoltre, considerato lo stretto rapporto tra eventi traumatici e i sintomi dell’ADHD, è consigliato integrare la CBT al Trattamento EMDR e alla Flash Technique. Ultimamente, diversi studi sono concordi nell’utilità delle neurotecnologie come il Neurofeedback Dinamico Non Lineare NeurOptimal® riguardo il miglioramento del benessere globale.
Tuttavia, nei soggetti più compromessi, è bene valutare l’inserimento di una terapia farmacologica prescritta da un medico psichiatra o neuropsichiatra. Infine, nonostante ogni caso sia una situazione diversa dall’altra, l’associazione tra psicoterapia cognitivo comportamentale, tecniche di rielaborazione del trauma e neurotecnologie e terapia farmacologica rimane la scelta più consigliata e più efficace.
BIBLIOGRAFIA
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- American Psychiatric Association., “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – 5° Edizione” (2013);
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SITOGRAFIA
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- https://neuroptimal.com/
- http://www.aidaiassociazione.com/
Adolescenti “ribelli”: quando bisogna preoccuparsi?
INTRODUZIONE
Secondo recenti ricerche, l’adolescenza è quel periodo di tempo compreso tra i 10 e i 25 anni in cui accadono diversi cambiamenti fisici, psicologici, emotivi e socialiche contribuiscono alla formazione della personalità dell’individuo. A causa dei no
tevoli cambiamenti socioculturali tipici della nostra epoca, l’inizio della fase adolescenziale è di natura biologica mentre la sua fine è di natura socioculturale poiché, rispetto al passato, la pubertà insorge più precocemente mentre si allunga il periodo di transizione verso una posizione lavorativa soddisfacente e l’indipendenza economica.
Durante questo periodo caratterizzato da enormi potenzialità e da grandi rischi, il cervello cambia in base alle esperienze che compie a causa della neuroplasticità cerebrale, raggiungendo la piena maturità dopo i 20 anni. Infatti, si potenziano le connessioni tra il sistema limbico, area cerebrale formata da amigdala e ippocampo che è deputata alla produzione delle emozioni e tra la corteccia prefrontale che svolge l’attività di regolazione delle emozioni, della capacità di giudizio e della presa di decisione.
COMPORTAMENTI NELLA NORMA E PATOLOGICI
L’organizzazione mondiale della sanità ha affermato che il 75 % dei disturbi mentali si manifesta in maniera evidente entro i 25 anni, tendendo poi a stabilizzarsi e complicarsi in età adulta. In questo periodo infatti, la continua ricerca della novità può sfociare in un incremento esponenziale della mortalità dovuta a abuso di sostanze, suicidi, traumi accidentali legati a distrazioni ed episodi di violenza. A ciò, possono aggiungersi anche forme di disagio simili a quelle che troviamo tra gli adulti come ansia, depressione, disturbi alimentari, psicosi e disturbi di personalità.
Tuttavia, allo scopo di evitare falsi allarmi e di informare sui comportamenti a rischio che potrebbero compromettere la salute psicofisica degli adolescenti, è bene fare una distinzione tra i comportamenti tipici di questa fase della vita e i comportamenti per cui bisognerebbe iniziare a valutare la consulenza di un professionista della salute mentale.
Tra i comportamenti tipici che rientrano quindi nella norma, troviamo infatti:
- frequenti sbalzi d’umore;
- maggiore attenzione al proprio aspetto fisico;
- abbassamento temporaneo della motivazione e della prestazione;
- maggiore conflittualità familiare che si manifesta con polemiche e contestazioni;
- fumare per curiosità tabacco, droghe leggere e consumare alcolici;
- difficoltà scolastiche temporanee;
- manifestare interesse per il sesso;
- richiesta di maggiore privacy;
- aumento dell’interesse per la tecnologia e i social network;
- sonno alterato, desiderio di vivere di notte e dormire fino a tardi nel fine settimana.
Invece, è bene iniziare a preoccuparsi in presenza dei seguenti comportamenti atipici:
- malinconia persistente, pensieri depressivi o idee di suicidio;
- rigido perfezionismo e ideali di magrezza restrittivi e non reali;
- incapacità di portare a termine le attività quotidiane, i progetti personali e le attività scolastiche;
- frequenti aggressioni fisiche e verbali, fughe da casa, marcata difficoltà a rispettare le regole;
- abuso di sostanze stupefacenti, alcolici e comportamenti conseguenti come spaccio, promiscuità sessuale e aggressività verso se stessi (es. autolesionismo) e verso gli altri;
- rifiuto o abbandono scolastico, bocciature, essere bullo o vittima di bullismo;
- gravidanze indesiderate, sessualità impulsiva e rischio di contrarre malattie veneree;
- scarsa o assente comunicazione in famiglia seguita da isolamento;
- trascorrere molte ore al computer e dare priorità alle relazioni virtuali;
- dormire tutto il giorno, stare svegli tutta la notte, saltare i pasti, arrivare abitualmente tardi a scuola e non portare a termine i progetti.
TRATTAMENTO
Se l’adolescente manifesta uno o più dei precedenti segnali d’allarme e tali comportamenti stanno compromettendo la sua qualità della vita, è fortemente consigliato di rivolgersi ad uno psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (CBT). Infatti la CBT ci aiuterà a comprendere i motivi per cui i bambini e i ragazzi mettono in atto i comportamenti trasgressivi, a sviluppare più empatia nei confronti degli altri, a gestire le emozioni come la rabbia, tollerare la frustrazione e modulare l’aggressività. Inoltre, considerato lo stretto rapporto tra turbe adolescenziali e il trauma psicologico, è consigliato integrare la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale con il Trattamento EMDR e la Flash Technique.
BIBLIOGRAFIA
- Casalini M., Bartoli F., Crocamo C., Dakanalis A., Clerici M., Carrà G.,“Disentangling the Association Between Child Abuse and Eating Disorders: A Systematic Review and Meta-Analysis” (2016)
- Del Piero L. B., Saxbe D. E., Margolin G., “Basic emotion processing and the adolescent brain: Task demands, analytic approaches, and trajectories of changes” (2016)
- Goldstein M., Griffiths S., .Rayner K., Podkowka J., Bateman J. E., Wallis A., Thornton C. E., “The effectiveness of family-based treatment for full and partial adolescent anorexia nervosa in an independent private practice setting: Clinical outcomes” (2016)
- Kim K. J., Gerber J., “The Effectiveness of Reintegrative Shaming and Restorative Justice Conferences.Focusing on Juvenile Offenders’ Perceptions in Australian Reintegrative Shaming Experiments” (2012)
- Lock J., La Via M.C., American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP) Committee on Quality Issues (CQI), “Practice parameter for the assessment and treatment of children and adolescents with eating disorders” (2016)
- Patel V., Flisher A. J., Hetrick S., Mc Gorry P., “Mental health of young people: a global public-health challenge” (2007)
- Pepping C. A., Duvenage M., Cronin T. J., Lyons A., “Adolescent mindfulness and psychopathology: The role of emotion regulation” (2016)
- Quaderni di psicoterapia cognitiva n. 39 (2016)
Riconoscere e liberarsi dalla depressione
CARATTERISTICHE E SINTOMATOLOGIA
La depressione è una tra le malattie mentali più diffuse ed è purtroppo in continua crescita. Il suo esordio è sempre più precoce (intorno ai 15 anni circa) e a soffrirne maggiormente sono i giovani adulti tra i 25 e i 44 anni, soprattutto le donne. Questo disturbo psichiatrico non ha nulla a che vedere con uno stato di tristezza passeggera caratterizzato da un calo momentaneo dell’umore, stress, stanchezza e nervi a fior di pelle che tende poi a risolversi spontaneamente. Infatti, essere depressi significa essere inghiottiti da una condizione di malessere generale caratterizzata da diversi sintomi cognitivi e corporei a cui segue una compromissione significativa della qualità della vita. Tra questi sono presenti:
- un basso tono dell’umore per la maggior parte del tempo
- la mancanza di piacere per tutto ciò che prima era fonte di felicità e per cui ci si sentiva soddisfatti
- una perenne sensazione di stanchezza senza aver compiuto degli sforzi
- frequenti sentimenti di colpa ed autosvalutazione
- facile irritabilità e difficoltà a mantenere la concentrazione
- aumento o diminuzione drastica del sonno e della sua qualità
- aumento o diminuzione di peso e dell’appetito
- calo o riduzione del desiderio sessuale
- idee e rischio di suicidio (nel 15% dei casi) sia pensieri automatici di contenuto negativo
Inoltre, non è raro che insieme alla depressione possano svilupparsi altri disturbi psicologici (ad esempio un disturbo d’ansia) che peggiorerebbero ulteriormente la situazione generale.
CAUSE
Nella depressione non esiste una causa unica ma il suo esordio è dovuto all’interazione tra fattori genetici, un supporto sociale povero o instabile e l’interpretazione negativa di qualsiasi evento di vita stressante (es. un lutto, una separazione o la fine di una storia sentimentale, problemi economici o la perdita del posto di lavoro). Così la persona depressa inizia gradualmente a sentirsi in un tunnel senza via d’uscita in cui domina l’idea della perdita percepita come irrinunciabile (“la mia vita non ha senso senza ciò poiché non posso farne a meno”), insostituibile (“niente e nessuno potrà mai prendere il posto del bene perduto”) e irrecuperabile (“non potrò più riaverlo”).
CONSEGUENZE
La persona depressa inizierà ad essere sopraffatta da pensieri intrisi di negatività che riguardano se stessi in quanto a dominare sarà l’idea di essere un fallito e non amabile, il mondo viene percepito come ingiusto e il futuro immaginato come buio e privo di speranza. Inoltre, questa condizione tende a protrarsi e a mantenersi nel tempo perché lo stato di negatività vissuto diviene a sua volta un ulteriore motivo di autocritica. Infatti, l’individuo inizierà a pensare che il suo atteggiamento di autocritica sarà un’ulteriore prova di non valere nulla, rinforzando la convinzione di essere diventato insopportabile per gli altri e di non meritare affetto, amicizia e vicinanza. A ciò si aggiunge la messa in atto di tentativi di soluzione disfunzionali come il rimuginio sul futuro, la ruminazione sul passato e il focalizzarsi troppo sul bene perduto, abbandonando gli altri aspetti della vita come hobby, amicizie e altri interessi personali.
QUAL E’ LA TERAPIA PIU’ CORRETTA?
Se leggendo queste righe vi siete riconosciuti in alcuni aspetti della depressione, è consigliato non aspettare ancora ma agire quanto prima poiché la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente e di conseguenza i tempi di guarigione potrebbero allungarsi. Il primo passo da fare per riprendere in mano la vostra vita è contattare uno psicoterapeuta, preferibilmente specializzato in psicoterapia cognitivo comportamentale e che abbia adeguate conoscenze della terapia EMDR e della Flash Technique. Infatti, diversi studi scientifici hanno dimostrato che la Psicoterapia Cognitivo comportamentale abbinata alla terapia EMDR e alla Flash Technique sono dei metodi molto efficaci nel trattamento della depressione in quanto mira alla riattivazione psicomotoria della persona e ad elaborare i pensieri e i sentimenti negativi, garantendo dei miglioramenti in tempi relativamente brevi e minimizzando il più possibile le possibilità di ricaduta.
Tuttavia, nelle depressioni di intensità media o grave, è sempre consigliata la combinazione tra psicoterapia cognitivo comportamentale e psicofarmaci. Infine, dopo aver fatto i dovuti accertamenti e considerando che ogni situazione è diversa dall’altra, sarà sempre il professionista della salute mentale a decidere se ricorrere alla sola psicoterapia oppure se integrarla eventualmente con la terapia farmacologica.
BIBLIOGRAFIA
- American Psychiatric Association, “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – 5° Edizione” (2013)
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- Bowlby J., “La perdita della madre” (2000)
- Bowlby J., “Costruzione e rottura dei legami affettivi” (1982)
- Castelfranchi C., Mancini F., Miceli M., “Fondamenti di cognitivismo clinico” (2002)
- Clark D. A., Beck A. T., Alford B. A., “Teoria e terapie cognitive della depressione” (2000)
- Perdighe C., Mancini F., Miceli M., “Elementi di psicoterapia cognitiva” (2010)
- Tillema L. J. et al., “Negative mood perceived self-efficacy and personal standards in dysphoria: the effects on contextual cues on self-defeating patterns of cognition” in “Cognitive therapy and research” (2001)
L’alleanza terapeutica nell’EMDR, nella Flash Technique e nell’Imagery
L’alleanza terapeutica è un concetto introdotto in ambito psicoanalitico ma è stato preso in larga considerazione anche nelle psicoterapie cognitivo comportamentali con lo scopo di monitorare l’andamento della relazione tra terapeuta e paziente nel qui ed ora. Infatti, secondo due rilevanti meta-analisi, il mantenimento di una buona alleanza terapeutica costituisce uno dei più importanti e forti predittori di buon esito della psicoterapia (Horvath & Symonds, 1991; Martin, Garske & Davis, 2000; Lingiardi, 2002; Norcross, 2011; Safran e Muran, 2000; Horvath, Del Re, Flückiger et al., 2011).
L’alleanza terapeutica è inoltre un prodotto costituito da tre principali fattori che si influenzano l’un l’altro (Bordin, 1979). Il primo fattore è una chiara definizione degli obiettivi che terapeuta e paziente concordano all’inizio del trattamento o durante il trattamento stesso, il secondo fattore consiste nella definizione dei compiti precisi che l’uno e l’altro dovranno svolgere all’inizio del trattamento mentre il terzo fattore rappresenta il tipo di legame che si andrà a creare tra i membri della diade terapeutica.
Questa definizione dimostra come sia l’alleanza terapeutica sia l’intera psicoterapia siano dei processi estremamente collaborativi tra i due soggetti interagenti in quanto terapeuta e paziente saranno attivi nei loro specifici ruoli. Infatti, il terapeuta è l’indispensabile esperto di psicologia clinica e di teoria della cura mentre il paziente è l’altrettanto indispensabile e anzi l’unico vero esperto delle proprie emozioni, stati mentali e propensioni. Il legame si instaura tra comportamenti, emozioni e i pensieri di entrambi i soggetti poiché la relazione terapeutica rappresenta un legame di attaccamento a tutti gli effetti in cui sono presenti la ricerca di vicinanza, la protesta verso la separazione e il bisogno di una base sicura (Weiss, 1982). Di conseguenza, il paziente avrà la tendenza ad applicare i propri Modelli Operativi Interni (MOI) verso il terapeuta in quanto memore dei ricordi, delle aspettative e i significati costruiti nella relazione con le proprie figure genitoriali. Tuttavia, anche i Modelli Operativi Interni (MOI) dello psicoterapeuta saranno attivi ed è bene che quest’ultimo ne sia più consapevole possibile per gestire eventuali frustrazioni personali che giocano un ruolo significativo nel costruire, mantenere e riparare l’alleanza terapeutica.
Stando al modello teorico cognitivo evoluzionista, si può dunque parlare di buona alleanza terapeutica quando paziente e terapeuta collaborano nel perseguire gli obiettivi condivisi, rispettano i compiti del trattamento ed è presente un legame affettivo costituito da fiducia e rispetto. In queste condizioni, il sistema motivazionale volto al mantenimento di un’alleanza terapeutica stabile è quello cooperativo e riduce l’attivazione di cicli interpersonali maladattivi. Ciò accade poiché l’EMDR, la Flash Technique e le tecniche immaginative permetterebbero in condizioni di sicurezza di fronteggiare la sofferenza, disattivando temporaneamente il sistema dell’attaccamento e attivando il sistema esplorativo (Onofri e Tombolini, 2004) e integrare le precedenti esperienze di attaccamento deficitarie e patologiche attraverso la produzione virtuale di esperienze interpersonali mutative (Manfield, 1998; Parnell, 1999; Giannantonio 2000; Wade e Wade, 2000). Di conseguenza, il paziente migliorerà in maniera esponenziale le sue funzioni metacognitive, intese come “la capacità di identificare e attribuire a sé e agli altri stati mentali, pensare e riflettere sui propri e sugli altrui stati mentali; usare tali conoscenze per prendere decisioni, risolvere conflitti, problemi relazionali e padroneggiare stati di sofferenza soggettiva” (Carcione et al.,1997).
Considerando tali premesse, sarebbe dunque preferibile utilizzare il protocollo EMDR, la Flash Technique e le tecniche immaginative solamente dopo aver fatto una buona concettualizzazione del caso, assicurandosi che la relazione terapeutica sia stabile e non dentro cicli interpersonali disfunzionali e quando il paziente non presenta situazioni di urgenza come rischio di drop out, pensieri e condotte suicidari, elevata disregolazione emotiva e dissociazione, abuso di sostanze o alcool.
BIBLIOGRAFIA
- Amabili M., Di Domenico A., (2024). La Flash Technique. Rendere più accessibili e rielaborare le memorie traumatiche più travolgenti. Giovanni Fioriti Editore, Roma
- Carcione A., Nicolò G., Semerari A., “Curare i casi complessi. La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità” (2016)
- Dimaggio G., Ottavi P., Popolo R., Salvatore G., “Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale” (2019)
- Dimaggio G., Semerari A., “I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali” (2003)
- Hackmann A., Levy J. B., Holmes E. A., Marsigli N., Brumat E., “Le tecniche immaginative in terapia cognitiva. Strategie di assessment e di trattamento basate sull’imagery” (2018)
- Liotti G., Farina B., “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa” (2011)
- Liotti G., Monticelli F., “Teoria e clinica dell’alleanza terapeutica. Una prospettiva cognitivo evoluzionista” (2014)
- Liotti G., Fassone G., Monticelli F., “L’evoluzione delle emozioni e dei sistemi motivazionali. Teoria, ricerca, clinica” (2017)
- La Rosa C., Onofri A., “Dal basso in alto (e ritorno…). Nuovi approcci bottom-up: psicoterapia cognitiva, corpo, EMDR” (2017)
- Petrilli D., “EMDR. Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari. Caratteristiche distintive” (2014)
- Verardo A. R., Lauretti G., “Riparare il trauma infantile. Manuale teorico d’integrazione tra sistemi motivazionali ed EMDR” (2020)
Riconoscere e guarire i traumi del presente e del passato
INTRODUZIONE AL CONCETTO DI TRAUMA
Approfondire il concetto di Trauma è molto importante nel campo della salute mentale al fine di comprendere complessivamente l’eziopatogenesi della psicopatologia e delle conseguenze sugli individui.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il trauma può essere definito come il “risultato mentale di un evento o una serie di eventi improvvisi ed esterni in grado di rendere l’individuo temporaneamente inerme e di disgregare le sue strategie di difesa e di adattamento” (OMS, 2002). L’American Psychiatric Association definisce invece il Trauma psicologico come “l’essere presenti ad un evento che comporta la morte, lesioni o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altra persona con sui si è in stretta relazione” (APA, 1994). Prendendo spunto da tali definizioni postulate da tali internazionali fonti autorevoli, possiamo generalmente sintetizzare il Trauma come un “evento emotivamente non sostenibile per chi lo subisce” (Liotti, Farina, 2011) o “un evento stressante, dal quale non ci si può sottrarre, che sovrasta le capacità di resistenza dell’individuo” (van der Kolk, 1996) poiché si sviluppa in base alle capacità della persona nel sostenerne le conseguenze.
LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE DEL TRAUMA
I traumi non possono solamente essere considerati eventi singoli (es. calamità naturali, incidenti etc.) poiché riguardano anche le esperienze relazionali disfunzionali tra bambino e le persone che dovrebbero prendersi cura di lui. Infatti, i traumi relazionali precoci si caratterizzano per condizioni stabili, intense e ripetute nel tempo che mettono a repentaglio l’incolumità psicofisica del bambino e coincidono con la disorganizzazione dell’attaccamento (Schore, 2003) caratterizzata da una compromissione del senso di sicurezza, dalla difficoltà della gestione delle emozioni e degli impulsi e dall’incapacità di avere relazioni soddisfacenti.
Le esperienze sfavorevoli infantili avvenute prima dei diciotto anni come ricorrenti abusi fisici, psicologici o sessuali, presenza di persone con dipendenza da sostanze all’interno dell’ambiente familiare o di soggetti che hanno avuto problemi con la giustizia, membri della famiglia con disturbi mentali conclamati, presenza di violenza familiare, presenza di un solo o nessun genitore e la trascuratezza fisica ed emotiva predispongono l’individuo allo sviluppo di problematiche psichiatriche. Infatti, le esperienze sfavorevoli infantili si associano al 44% delle psicopatologie durante l’età dello sviluppo e al 30% delle forme in età adulta, costituendo dei potenti fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi psicologici in qualsiasi età (Kessler et al., 2010).
LE CONSEGUENZE ORGANICHE DEL TRAUMA
I Traumi hanno delle conseguenze negative non solo sulla salute psichica ma anche sulla salute fisica dell’individuo. Infatti, l’esposizione ad esperienze sfavorevoli in età evolutiva accelera le varie cause di morte negli adulti come la comparsa di un attacco ischemico o cardiaco, un cancro, una malattia cronica polmonare, le fratture scheletriche o le malattie al fegato (Felitti et al., 2012), Lo studio appena citato corrobora altri studi precedenti in cui era già stata dimostrata una correlazione significativa tra esperienze sfavorevoli in età infantile e depressione, abuso di sostanze, promiscuità sessuale e violenza domestica, cardiopatie, tumori, diabete e disturbi epatici (Felitti et al., 1998).
Determinate esperienze di maltrattamento e trascuratezza nell’infanzia si associano anche ad anomalie strutturali e funzionali in diverse regioni del cervello tra cui la corteccia prefrontale che regola le funzioni di logica e ragionamento, il corpo calloso che integra le attività tra i due emisferi e il sistema limbico deputato alla produzione e alla regolazione delle emozioni. Tali esperienze alterano anche la produzione del cortisolo e di altri neurotrasmettitori come adrenalina, dopamina e serotonina che regolano il tono dell’umore e diverse funziomi comportamentali.
Tali vissuti, se non vengono correttamente elaborati, continuano ad avere un impatto sulle strutture cerebrali, alterando le connessioni neurali e diventano così dei ricordi immagazzinati in una rete neurale in cui la capacità di elaborare l’informazione traumatica rimane interrotta. I ricordi di eventi traumatici rimangono così non verbali, frammentati, intrusivi e decontestualizzati e, non subendo il processo di elaborazione, causano i sintomi nel presente (Brewin et al., 1996)
IL TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DEL TRAUMA
Le linee guida dell’OMS sostengono che “la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale individuale o di gruppo (CBT) focalizzata sul trauma oppure la Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (EMDR) dovrebbero essere indicate per bambini, adolescenti e adulti con disturbo post-traumatico da stress” (WHO, 2013)”. Infatti, dopo un trauma o uno stress grave, con la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale e l’EMDR le persone prendono consapevolezza del fatto che ciò che è successo non si può cambiare ma si può ridurre l’impatto emotivo del ricordo traumatico, rielaborandolo in maniera più adattiva e facendo in modo che questo non dia più fastidio e rechi disagio nel presente. Di conseguenza, le persone lasceranno una volta per tutte il passato nel passato, recuperando la propria serenità, rafforzando gli aspetti della loro autostima e imparando ad avere più fiducia nelle loro capacità.
BIBLIOGRAFIA
- Amabili M., Di Domenico A., (2024). La Flash Technique. Rendere più accessibili e rielaborare le memorie traumatiche più travolgenti. Giovanni Fioriti Editore, Roma
- Brewin C. R., Dalgleish T., Joseph S., “A dual representation theory of post traumatic stress disorder” (1996)
- Felitti V.J., Robert F. A., “The relationship of Adverse Childhood Experiences to Adult Medical Disease, Psychiatric Disorders and Sexual Behaviour: Implications for Healthcar” (2012)
- Felitti V. J., Anda R. F., Williamson D. F., Spitz A. M., Edwards V., Koss M. P., Marks J. S., Nordenberg D., “Relationship of childhood abuse and household dysfunction to many of the leading causes of death in adults. The Adverse Childhood Experiences (ACE) Study” (1998)
- Kessler R. C., “Childhood aversities and adult psychopathology in the WHO World Mentale Health Surveys” (2010)
- Liotti G., Farina B., “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa” (2011)
- van der Kolk, Bessel A., “The complexity of adaptation to trauma: Self-regulation, stimulus discrimination, and characterological development” (1996)
SITOGRAFIA
- emdr.it
- who.it
Superare il trauma psicologico con il metodo EMDR e la Flash Technique
Negli ultimi anni molte persone ne hanno tratto enorme beneficio. Ad esempio, la nota showgirl italiana Elena Santarelli, dopo la diagnosi di tumore di suo figlio Giacomo, ha sostenuto di aver superato quei brutti momenti e di stare meglio. Ed infine Michele Bravi, vincitore della trasmissione televisiva X Factor, ha dichiarato di aver superato il suo forte senso di colpa per aver involontariamente investito ed ucciso una donna. Ciò che accumuna questi personaggi del mondo dello spettacolo è l’essere stati vittime di un Trauma Psicologico. Tuttavia, sottoponendosi ad una particolare forma di psicoterapia chiamata EMDR, hanno recuperato e migliorato la propria salute mentale.
L’acronimo EMDR sta per Eye Movements Desensitization and Reprocessing, ovvero Desensibilizzazione e Riprocessamento attraverso i Movimenti Oculari. In sintesi, l’EMDR consiste nell’indurre dei movimenti oculari con delle stimolazioni visive, uditive e tattili da destra a sinistra per trattare tutti quei disturbi legati ad esperienze traumatiche dal punto di vista emotivo.
Si parla di Trauma quando qualsiasi evento viene immagazzinato soggettivamente in maniera disfunzionale nella memoria di un individuo insieme alle emozioni, ai pensieri e alle sensazioni fisiche disturbanti che hanno caratterizzato quel particolare momento e continuano a creare disagio ancora nel presente. Considerata la precedente premessa, dopo alcune sedute iniziali di EMDR, tutti i ricordi disturbanti legati ad un particolare evento traumatico perdono stimolazione dopo stimolazione la loro carica emotiva negativa che è alla base del dolore che ogni vittima prova nel presente.
Nonostante comunemente si pensi che il tempo guarisca tutte le ferite, purtroppo non è affatto così. Infatti, se l’evento traumatico non viene adeguatamente rielaborato, il trascorrere degli anni non fa altro che “congelarne” il ricordo nel cervello, generando reazioni automatiche di sofferenza e disagio. Ciò può essere raccontato da chi, anche dopo molti anni, continua a provare la stessa rabbia, tristezza o colpa, oppure lo stesso identico dolore o rancore, come se il tempo non fosse mai passato.
Nel concreto, significa che se si è stati vittime di situazioni traumatiche (es. una separazione coniugale, un tradimento, esperienze di maltrattamento da parte dei familiari, incidenti stradali, diagnosi di malattie degenerative, lutti, esperienze di quarantena o di confinamento, rapimenti, catastrofi naturali, omicidi, suicidi, violenza, abusi sessuali etc.) grazie all’EMDR si riesce a rielaborare con successo ed in breve tempo l’esperienza stressante in modo che essa non sia più fonte di fastidio o disagio nel presente.
Se leggendo queste righe, vi siete riconosciuti in alcuni aspetti legati a situazioni traumatiche che avete vissuto e che stanno rovinando ancora la qualità della vostra vita, è consigliato non aspettare ancora ma di agire quanto prima contattando uno psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale e nel trattamento EMDR. Tali indicazioni sono fornite da fonti autorevoli come l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in cui è espressamente indicato che “la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale individuale o di gruppo (CBT) focalizzata sul trauma oppure la Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (EMDR) dovrebbero essere indicate per bambini, adolescenti e adulti con disturbo post-traumatico da stress” (OMS, 2013)”.
Infatti, uno psicoterapeuta esperto potrà aiutarvi a superare in maniera efficace e in breve tempo qualsiasi esperienza emotivamente stressante che avete subito e che ancora vi fa soffrire, aiutandovi una volta per tutte lasciare il passato nel passato, a recuperare la vostra serenità nel presente, a rafforzare gli aspetti della vostra autostima e ad avere più fiducia nelle vostre capacità.
BIBLIOGRAFIA
- Amabili M., Di Domenico A., (2024). La Flash Technique. Rendere più accessibili e rielaborare le memorie traumatiche più travolgenti. Giovanni Fioriti Editore, Roma
- La Rosa C., Onofri A., “Dal basso in alto (e ritorno…). Nuovi approcci bottom-up: psicoterapia cognitiva, corpo, EMDR” (2017)
- Petrilli D., “EMDR. Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari. Caratteristiche distintive” (2014)
- Shapiro F., “EMDR. Principi fondamentali, protocolli e procedure (2019)
- Van Der Kolk B., “Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche” (2015)
- Verardo A. R., Lauretti G., “Riparare il trauma infantile. Manuale teorico d’integrazione tra sistemi motivazionali ed EMDR” (2020)
SITOGRAFIA
- www.emdr.it
- www.who.int