Liberarsi dal senso di colpa: la storia di B.
Qualche mese fa presso il mio studio arriva B., una giovane avvocatessa di media statura e ben curata nell’aspetto. (altro…)
Learn MoreCosa faccio se mio figlio è coinvolto nel bullismo?
Nel mio studio è capitato diverse volte di ascoltare bambini o adolescenti che a scuola o nei luoghi in cui fanno sport hanno subito dei soprusi. Tali atteggiamenti hanno poi causato diverse problematiche personali, psicologiche e sociali alle quali non è stata data troppa considerazione per mancanza di un’informazione adeguata.
Gli atti di bullismo non sono semplici “prese in giro” tra bambini o “ragazzate” adolescenziali ma azioni che appartengono ad un fenomeno sociale molto complesso e più frequente di quanto comunemente si pensi. Il bullismo si caratterizza per azioni intimidatorie verbali, fisiche e psicologiche che un soggetto percepito come più “forte” compie su una persona giudicata come più “debole”. Le azioni vessatorie sono caratterizzate da intenzionalità, asimmetria di potere e persistenza nel tempo. Infatti il bullo, sfruttando la disparità di ruolo tra vittima e carnefice, ha l’unico scopo di ledere l’integrità psicofisica della vittima attraverso di versi comportamenti. Tra questi sono presenti offese, derisione per aspetti fisici o caratteriali, esclusione sociale e aggressioni corporee o verbali.
CHI PARTECIPA AL BULLISMO?
Le vittime, apparendo come persone timide, riservate, insicure, molto ansiose o molto educate sono coloro che sono costrette a subire gli atti di bullismo. Contrariamente a quest’ultime, i bulli si presentano come persone apparentemente sicure di sé. Infatti, utilizzano dei comportamenti aggressivi con lo scopo di essere considerati ed autoaffermarsi, manifestando così una forte difficoltà nel rispetto delle regole e una bassa tolleranza alla frustrazione. Inoltre sono presenti anche gli osservatori, soggetti che assistono alle condotte intimidatorie del bullo senza prendere le difese della vittima, rinforzando in modo indiretto gli atteggiamenti prevaricatori. Infine, gli antagonisti sono quelle persone che provano un senso di ingiustizia profondo e si oppongono al bullo intervenendo direttamente in difesa del compagno sofferente.
COSA ACCADE ALLA VITTIMA?
La vittima manifesta il proprio disagio in diversi modi: stress, abbassamento della concentrazione, calo del rendimento scolastico, lamentele somatiche (es. mal di pancia, mal di testa, calo dell’appetito e disturbi del sonno) e l’evitamento dei luoghi in cui gli atti di bullismo sono subiti (es. scuola, luogo di lavoro, palestra, scuola calcio, oratorio etc.). Non è rara infatti la perdita di interesse degli eventi sociali in cui sono presenti diversi coetanei. Se non si interviene precocemente per ristabilire la salute della vittima, nel breve periodo e in età adulta, oltre ad una compromissione dell’autostima, possono svilupparsi disturbi d’ansia (es. disturbo di panico, ansia generalizzata) e dell’umore (es. la depressione), traumi psicologici e, nei casi più gravi, possono anche comparire comportamenti parasuicidari (es. autolesionismo) per gestire il dolore emotivo e, nei casi estremi, si può anche arrivare a compiere tentativi di suicidio.
COSA ACCADE AL BULLO?
Tuttavia, ad essere danneggiate non sono solamente le vittime poiché, essendo il bullismo un reato, i bulli rischiano ripercussioni legali da parte dalla scuola o dai familiari della persona bullizzata. Inoltre, la maggior parte dei bulli è coinvolta in altri comportamenti devianti come l’abuso di sostanze stupefacenti (alcool, cocaina, cannabis etc.), piccoli furti o estorsioni, danneggiamento di proprietà e rissa. Infatti, in una buona percentuale i bulli possono presentare disturbi del neurosviluppo come l’ADHD, il disturbo oppositivo – provocatorio e il disturbo della condotta i quali, se non trattati precocemente, predispongono il bullo adulto allo sviluppo di disturbi di personalità, compromettendo ulteriormente il proprio funzionamento sociale, personale, lavorativo e scolastico.
COME INTERVENIRE?
Se vi accorgete che un bambino o un adolescente è coinvolto in una dinamica di bullismo, è fortemente consigliato, per evitare spiacevoli conseguenze sul piano sociale, personale e legale, di rivolgersi ad uno Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale. Infatti, alle vittime possono essere insegnate delle abilità per gestire i comportamenti disfunzionali del bullo, con ulteriore beneficio sulla loro autostima e sul loro carattere. Il bullo invece potrà essere aiutato a comprendere i motivi per cui mette in atto i comportamenti trasgressivi, a sviluppare più empatia nei confronti degli altri, a gestire le emozioni come la rabbia, tollerare la frustrazione e modulare l’aggressività. Inoltre, considerato lo stretto legame tra bullismo e sviluppo di un trauma psicologico, è consigliato integrare la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale con il trattamento EMDR e la Flash Technique.
BIBLIOGRAFIA
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- Olweus D., “Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono” (1996)
- Olweus, D., “Il bullismo” (1993)
Chiudere la relazione con un narcisista: la storia di O.
RICHIESTA DELLA PSICOTERAPIA
Un po’ di tempo fa ricevo una chiamata da O., una commercialista sulla quarantina e concordiamo di fissare un appuntamento qualche giorno dopo. O. si presenta con i capelli raccolti, un trucco semplice e un abbigliamento non troppo vistoso. Non appena la invito ad accomodarsi nella mia stanza, la sua voce inizia a strozzarsi, dai suoi occhi inizia a sgorgare qualche lacrima e mi dice “Dottore, la mia vita sta andando a rotoli per diverse situazioni. Mi sento impotente e mi mancano le energie per fare qualsiasi attività. Anche una semplice camminata mi appare come una maratona. E’ come se avessi perso il piacere di fare qualsiasi cosa. Tutto mi appare un fallimento e mi sento la maggior responsabile di tutto questo. Ho sempre voglia di rimanere sola. Spesso mi deconcentro a lavoro e per questo ho chiesto al mio titolare due settimane di ferie anticipate. Tuttavia, ciò che mi crea maggior disagio è l’insoddisfazione per la mia attuale relazione sentimentale in cui il mio partner mi fa sentire umiliata e inadeguata, rialimentando costantemente il mio senso di inutilità”
Tra le tante situazioni che la preoccupano, mi riferisce “Voglio capire cosa sta accadendo tra noi due. Stiamo insieme da quattro anni ma negli ultimi tre i litigi relativi alla normale amministrazione della vita quotidiana sono aumentati. All’inizio sembrava un uomo brillante, intraprendente e sicuro di sè e nulla sembrava scalfirlo. Adesso litighiamo anche per le cose stupide. Ho sempre abbozzato credendo che pian piano le cose sarebbero tornate come prima e che lui sarebbe tornato quello all’inizio ma col passare del tempo ci siamo allontanati e lui nè sembra cogliere questa mia distanza nè mi viene incontro. Ho provato a prendere il discorso diverse volte ma è come parlare con un muro perché per lui va bene tutto e sono io quella strana. Sembriamo due coinquilini, a casa non c’è dialogo e lui non mi aiuta nei lavori domestici, come se tutto gli fosse dovuto. Penso di non essere una buona partner e non mi sento stimata. Mi sento come Cenerentola. Tutto o è dato per scontato o non va mai bene come dovrebbe. Tanto se sta bene lui stanno bene tutti… Tutto questo mi rende triste e non so più come uscire da questo vortice”
Nei successivi colloqui, le chiedo se generalmente ha avuto la sensazione di sentirsi trasparente agli occhi del suo partner e se a questi comportamenti di trascuratezza seguissero sentimenti di tristezza, delusione, senso di inadeguatezza e autosvalutazione. O. conferma queste mie prime affermazioni. Inoltre, le chiedo anche se avesse notato che il suo partner evitasse la vicinanza emotiva, considerandola superficiale e se nelle discussioni fosse verbalmente aggressivo quando gli si faceva notare che lui sbagliasse. Anche queste seconde affermazioni vengono confermate e la paziente mi riporta alcuni episodi in cui ciò era accaduto. Approfondendo ulteriormente questa relazione disfunzionale, riusciamo a capire che il suo compagno non sembra cogliere i bisogni degli altri, appare freddo e distaccato e tende a vivere la maggior parte delle relazioni per avere tendenzialmente un ritorno personale.
La mia paziente lo definisce un uomo “egoista, poco empatico e dalla sensibilità di una lastra di marmo”. Noi terapeuti abbiamo invece un nome per descrivere pensieri, emozioni e comportamenti di queste persone: Disturbo Narcisistico di Personalità.
ANDAMENTO DELLA PSICOTERAPIA
Nel corso della psicoterapia, ci focalizziamo su tutto ciò che la spinge a rimanere nella relazione, accettando continue umiliazioni e trascuratezze.
O. mi racconta che sin da piccola ha avuto la costante sensazione di essere vulnerabile indifesa. I suoi genitori erano spesso assenti per lavoro o per vicissitudini familiari e di conseguenza poco attenti ai suoi bisogni, se non quando lei si faceva in quattro per farli stare bene, compiacendoli in tutto e mettendo da parte i propri desideri di bambina. Questo modo di fare sembrava infatti le uniche modalità che da bambina O. aveva per ricevere un briciolo di considerazione da parte dei suoi genitori.
Le faccio notare che l’essere molto accudente e compiacente con gli altri sono modalità relazionali che ha imparato nel corso della sua infanzia poiché era l’unico modo che da piccola conosceva per ricevere stima, affetto ed attenzioni. Ed è per questo motivo che si è sempre incastrata in relazioni malate in cui gli altri erano poco o per nulla cooperativi e lei credeva di non dare mai abbastanza, sentendosi spesso in colpa, inadeguata e sbagliata. Rendendola dunque consapevole delle motivazioni per cui manteneva questa relazione, nella nostra terapia riusciamo a capire che esprimere e dare valore ai propri bisogni, senza calpestare quelli altrui, è un suo diritto come lo è dire di “no” per dare priorità ai propri desideri, senza sentirsi troppo colpevoli di come gli altri reagiranno.
FINE DELLA PSICOTERAPIA
Alla fine della terapia la paziente afferma “La psicoterapia mi ha aiutato a terminare questa relazione con quest’uomo sbagliato, a gestire meglio la relazione con me stessa e soprattutto con gli altri a livello sociale e lavorativo. Inoltre, faccio tesoro del fatto che ho imparato a mettere prima davanti me stessa piuttosto che il benessere altrui. Ho iniziato finalmente a sperimentare un notevole senso di libertà e una buona consapevolezza nelle mie scelte quotidiane, soprattutto sentendomi meno responsabile delle reazioni altrui in base alle mie scelte poiché ho imparato a dargli il giusto peso”.
CONCLUSIONI
Spero che il racconto di questa mia cara paziente possa essere un buon esempio per capire che tentare di cambiare i propri partner, continuando a soffrire inutilmente, non è mai la strada giusta da prendere. Infatti, non si soffre per come il partner si comporta ma per i motivi per cui ci si ostina a stare con lui, insistendo portare avanti una relazione tossica. Dunque, se si vuole dunque riprendere in mano la propria vita consapevolmente, è consigliabile affrontare i propri temi personali attraverso una psicoterapia cognitivo comportamentale.
Nota bene: La paziente ha acconsentito alla pubblicazione del seguente testo e, per tutelare ulteriormente la sua privacy, le sue generalità sono state modificate.
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Arthur Fleck, nel film poi soprannominato Joker, è un attore comico di circa quarant’anni che, a causa delle sue turbe psichiche, (altro…)
Learn MoreCome riconosco e curo il Disturbo Borderline di Personalità?
INTRODUZIONE
Il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è una forma di psicopatologia che insorge durante il periodo adolescenziale o nella prima età adulta e si manifesta attraverso improvvisi cambiamenti del tono dell’umore, una scarsa stabilità nelle azioni e nei rapporti con gli altri, una marcata impulsività in diverse aree e una difficoltà gestire e riconoscere coerentemente i propri pensieri e stati d’animo. Le precedenti caratteristiche, rinforzandosi reciprocamente, producono una notevole sofferenza psicofisica rovinando la qualità della vita dell’individuo a livello personale, sociale, relazionale, lavorativo e scolastico.
Tra le caratteristiche principali di questo disturbo di personalità è presente l’instabilità emotiva che si manifesta con marcati e repentini cambiamenti dell’umore: è infatti molto frequente che queste persone oscillino rapidamente da uno stato d’animo all’altro, soprattutto in presenza di eventi relazionali percepiti come spiacevoli (es. un rifiuto, un abbandono, una critica o una semplice disattenzione da parte degli altri). Infatti, chi soffre di DBP è affetto da una forte vulnerabilità emotiva caratterizzata da reazioni più impulsive, intense e durature rispetto a quella delle altre persone a cui si associa la disregolazione emotiva che si traduce nella difficoltà nel riconoscere e soprattutto gestire le emozioni.
Nel tentativo di controllare le eccessive reazioni emozionali, le persone con DBP ricorrono all’azione in modo impulsivo e agiscono senza riuscire a riflettere. L’impulsività si può esprimere con esplosioni di rabbia, litigi violenti, abuso di sostanze stupefacenti (alcool, droga, cocaina, cannabis etc.), abbuffate di cibo, gioco d’azzardo, promiscuità sessuale o spese sconsiderate. Possono anche manifestarsi, a volte anche in modo ricorrente, atti autolesivi (es. procurarsi dei tagli sul corpo con delle lamette o delle bruciature con dei mozziconi di sigaretta, ingerire dosi eccessive di psicofarmaci etc.) o, in casi estremi, idee e tentativi di suicidio.
Le persone con DBP tendono inoltre a vivere le relazioni con gli altri in maniera tumultuosa e intensa ma allo stesso tempo in modo caotico e discontinuo. Infatti, spesso per loro è complesso viverle “in una via di mezzo” poiché, optando per il “tutto o nulla”, tendono ad oscillare rapidamente tra l’idealizzazione e la svalutazione dell’altro. Solitamente, le loro relazioni iniziano con una visione dell’altro (partner o amici) che viene percepito come accudente, serio e disponibile. Tuttavia, non appena la persona con DPB sperimenta la percezione di una critica o un’incostanza nelle cure, tenderà a etichettare l’altro all’opposto (es. pericoloso, disonesto etc.) oppure come “buono” o “cattivo” allo stesso tempo.
Le caratteristiche elencate precedentemente incidono fortemente sull’autostima per cui queste persone tenderanno a percepirsi come sbagliate e fragili etichettandosi con espressioni come “Sono un buono a nulla!”, “Sono un fake!”, “Mi faccio schifo!”. La maggior parte del tempo viene spesa per cercare di correggere questi presunti difetti, trattandosi con estrema rigidità e severità e pretendendo da se stessi cambiamenti impossibili da ottenere senza l’aiuto di uno specialista della salute mentale.
CAUSE E CONSEGUENZE
Secondo la letteratura scientifica, le origini del BPD sono dovute all’interazione di due fattori che si influenzano reciprocamente. Il primo sono esperienze infantili intense e ripetute trascorse in un ambiente invalidante cui il soggetto può essere stato esposto a svalutazione dei propri stati mentali(pensieri, emozioni e sensazioni fisiche), interazioni caotiche ed inappropriate con l’ambiente familiare, espressioni emotive intense, carenze di cure, maltrattamenti e abusi sessuali in aggiunta a fattori genetici e temperamentali che predispongono il soggetto allo sviluppo della disregolazione emotiva (ipoattivazione della corteccia prefrontale e iperattivazione del sistema limbico). Tra le conseguenze principali di questo disturbo figurano l’instabilità nei rapporti interpersonali, lo scarso rendimento lavorativo o scolastico nonostante le buone capacità intellettive del soggetto, l’abuso di alcool e di droghe e, in casi estremi, il ricorso ad atti autolesivi e tentativi di suicidio.
TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO E FARMACOLOGICO
La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (CBT) si è rivelato un metodo molto efficace nel trattamento del DBP in quanto aiuta il soggetto a migliorare la capacità di identificare gli stati mentali propri ed altrui e di ragionarci in maniera più costruttiva e flessibile. Promuovere tali abilità aiuterà il soggetto a prendere decisioni più funzionali, risolvere conflitti, problemi relazionali e a padroneggiare gli stati di sofferenza soggettiva, minimizzando il più possibile le possibilità di ricaduta. Inoltre, considerata l’altissima presenza tra BDP ed eventi traumatici di varia entità, si otterranno risultati ancora maggiori integrando la CBT al trattamento EMDR (Eye Movements Desensitization and Reprocessing) e alla Flash Technique.
Infine, poiché è stato dimostrato che nessuno psicofarmaco ha un’efficacia costante o notevole nella cura del DPB, la psicofarmacoterapia dovrebbe essere prescritta da un medico psichiatra nei casi più compromessi (es. elevato rischio suicidario o frequenti agiti impulsivi) ma bisogna sempre integrarla con la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. A tal proposito, bisogna assicurarsi che le persone con BPD comprendano che gli psicofarmaci possono essere un valido aiuto alla psicoterapia ma che non possono essere assolutamente sostituiti ad essa. Infatti, riporre aspettative irrealistiche sull’efficacia della sola terapia farmacologica abbasserà l’impegno personale del paziente verso il miglioramento che è ottenibile esclusivamente attraverso una buona psicoterapia.
BIBLIOGRAFIA
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Linehan M., “DBT Skills Training” (2015)
Linehan M., “Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline” (2001)
Mosquera D., Gonzàlez A., “EMDR e disturbo borderline di personalità” (2016)
L’alleanza terapeutica nell’EMDR, nella Flash Technique e nell’Imagery
L’alleanza terapeutica è un concetto introdotto in ambito psicoanalitico ma è stato preso in larga considerazione anche nelle psicoterapie cognitivo comportamentali con lo scopo di monitorare l’andamento della relazione tra terapeuta e paziente nel qui ed ora. Infatti, secondo due rilevanti meta-analisi, il mantenimento di una buona alleanza terapeutica costituisce uno dei più importanti e forti predittori di buon esito della psicoterapia (Horvath & Symonds, 1991; Martin, Garske & Davis, 2000; Lingiardi, 2002; Norcross, 2011; Safran e Muran, 2000; Horvath, Del Re, Flückiger et al., 2011).
L’alleanza terapeutica è inoltre un prodotto costituito da tre principali fattori che si influenzano l’un l’altro (Bordin, 1979). Il primo fattore è una chiara definizione degli obiettivi che terapeuta e paziente concordano all’inizio del trattamento o durante il trattamento stesso, il secondo fattore consiste nella definizione dei compiti precisi che l’uno e l’altro dovranno svolgere all’inizio del trattamento mentre il terzo fattore rappresenta il tipo di legame che si andrà a creare tra i membri della diade terapeutica.
Questa definizione dimostra come sia l’alleanza terapeutica sia l’intera psicoterapia siano dei processi estremamente collaborativi tra i due soggetti interagenti in quanto terapeuta e paziente saranno attivi nei loro specifici ruoli. Infatti, il terapeuta è l’indispensabile esperto di psicologia clinica e di teoria della cura mentre il paziente è l’altrettanto indispensabile e anzi l’unico vero esperto delle proprie emozioni, stati mentali e propensioni. Il legame si instaura tra comportamenti, emozioni e i pensieri di entrambi i soggetti poiché la relazione terapeutica rappresenta un legame di attaccamento a tutti gli effetti in cui sono presenti la ricerca di vicinanza, la protesta verso la separazione e il bisogno di una base sicura (Weiss, 1982). Di conseguenza, il paziente avrà la tendenza ad applicare i propri Modelli Operativi Interni (MOI) verso il terapeuta in quanto memore dei ricordi, delle aspettative e i significati costruiti nella relazione con le proprie figure genitoriali. Tuttavia, anche i Modelli Operativi Interni (MOI) dello psicoterapeuta saranno attivi ed è bene che quest’ultimo ne sia più consapevole possibile per gestire eventuali frustrazioni personali che giocano un ruolo significativo nel costruire, mantenere e riparare l’alleanza terapeutica.
Stando al modello teorico cognitivo evoluzionista, si può dunque parlare di buona alleanza terapeutica quando paziente e terapeuta collaborano nel perseguire gli obiettivi condivisi, rispettano i compiti del trattamento ed è presente un legame affettivo costituito da fiducia e rispetto. In queste condizioni, il sistema motivazionale volto al mantenimento di un’alleanza terapeutica stabile è quello cooperativo e riduce l’attivazione di cicli interpersonali maladattivi. Ciò accade poiché l’EMDR, la Flash Technique e le tecniche immaginative permetterebbero in condizioni di sicurezza di fronteggiare la sofferenza, disattivando temporaneamente il sistema dell’attaccamento e attivando il sistema esplorativo (Onofri e Tombolini, 2004) e integrare le precedenti esperienze di attaccamento deficitarie e patologiche attraverso la produzione virtuale di esperienze interpersonali mutative (Manfield, 1998; Parnell, 1999; Giannantonio 2000; Wade e Wade, 2000). Di conseguenza, il paziente migliorerà in maniera esponenziale le sue funzioni metacognitive, intese come “la capacità di identificare e attribuire a sé e agli altri stati mentali, pensare e riflettere sui propri e sugli altrui stati mentali; usare tali conoscenze per prendere decisioni, risolvere conflitti, problemi relazionali e padroneggiare stati di sofferenza soggettiva” (Carcione et al.,1997).
Considerando tali premesse, sarebbe dunque preferibile utilizzare il protocollo EMDR, la Flash Technique e le tecniche immaginative solamente dopo aver fatto una buona concettualizzazione del caso, assicurandosi che la relazione terapeutica sia stabile e non dentro cicli interpersonali disfunzionali e quando il paziente non presenta situazioni di urgenza come rischio di drop out, pensieri e condotte suicidari, elevata disregolazione emotiva e dissociazione, abuso di sostanze o alcool.
BIBLIOGRAFIA
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- Hackmann A., Levy J. B., Holmes E. A., Marsigli N., Brumat E., “Le tecniche immaginative in terapia cognitiva. Strategie di assessment e di trattamento basate sull’imagery” (2018)
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- La Rosa C., Onofri A., “Dal basso in alto (e ritorno…). Nuovi approcci bottom-up: psicoterapia cognitiva, corpo, EMDR” (2017)
- Petrilli D., “EMDR. Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari. Caratteristiche distintive” (2014)
- Verardo A. R., Lauretti G., “Riparare il trauma infantile. Manuale teorico d’integrazione tra sistemi motivazionali ed EMDR” (2020)
Come scegliere uno psicoterapeuta affidabile e competente?
In un ambito delicato come quello della salute mentale è fondamentale rivolgersi ad un professionista adeguato, se il vostro scopo è ritrovare la serenità di un tempo. In questo articolo, vi descriveró alcune caratteristiche che dovrebbe possedere uno psicoterapeuta che con ottime probabilità sarà in grado di aiutarvi nel migliore dei modi:
Il primo passo da fare è verificare l’iscrizione del professionista all’Ordine degli Psicologi o all’Ordine dei Medici, evitando così di incappare in situazioni di abuso professionale. Il passo successivo sarà quello di controllare che tra le specializzazioni della scheda personale compaia l’abilitazione alla disciplina della Psicoterapia. Inoltre, per ulteriori informazioni e chiarimenti, non esitate a contattare telefonicamente l’albo stesso oppure domandare al professionista che tipo di formazione universitaria e post universitaria abbia conseguito.
Già dai primi incontri, uno psicoterapeuta preparato non si dedicherà esclusivamente a ristabilire la vostra salute mentale ma è buona prassi che raccolga un’anamnesi generale della vostra storia clinica psicologica e medica (es. chiedendo se state effettuando o avete effettuato terapie farmacologiche di qualsiasi tipo oppure se i vostri familiari abbiano mai sofferto di disturbi mentali). Inoltre, se lo riterrà opportuno, proporrà un approfondimento della problematica attraverso vari esami di tipo medico o organico (es. visite psichiatriche, neurologiche, andrologiche, ginecologiche, cardiologiche etc.). Tali risposte cliniche lo aiuteranno ad inquadrare il caso nella maniera più dettagliata possibile e, di conseguenza, scegliere la terapia più adeguata.
Sin dal primo colloquio, un buon professionista cercherà di instaurare con voi una buona relazione terapeutica basata sul rispetto reciproco e su una giusta distanza interpersonale. Siate dunque diffidenti da quelle figure che instaurano con voi una relazione poco professionale ponendosi come “quasi amici” oppure che “a pelle” vi suscitano un senso di ambiguità e inautenticità. In sostanza, se dai primi colloqui percepite spiacevoli sensazioni che minano la vostra sicurezza emotiva e non permettono di aprirvi con serenità, è consigliabile non insistere nel percorso ma di cambiare professionista.
Uno psicoterapeuta dovrebbe sempre avere una rete di collaboratori di sua fiducia con cui confrontarsi se necessario (es. medici, psichiatri, neurologi, nutrizionisti, andrologi etc.). L’enorme vantaggio di poter contare su un team di riferimento lo aiuterà ad avere una visione del caso più dettagliata, riducendo al minimo gli errori diagnostici e, di conseguenza, evitare trattamenti terapeutici inefficaci. Ad esempio, se un paziente arriva a chiedere una consulenza psicoterapeutica su un disturbo sessuale come una disfunzione erettile o eiaculazione precoce, sarebbe opportuno che il terapeuta lo esorti ad un approfondimento mediante una visita andrologica o endocrinologica, volta ad escludere eventuali cause organiche del problema.
Inoltre, affinché come pazienti possiate avere delle risposte accurate sulla vostra situazione, vi esorto anche a chiedere al professionista tre aspetti fondamentali:
- La diagnosi formulata (come per le patologie mediche, una diagnosi psicologica ben definita è fondamentale poiché senza di essa sarebbe impossibile proporre qualsiasi tipo di terapia);
- I metodi scientifici che con alto tasso di successo saranno maggiormente efficaci in relazione alla diagnosi effettuata;
- Un confronto affinché vi sentiate compresi sia all’inizio sia durante la psicoterapia, facendo in modo che venga spiegato tutto ciò di cui si ha bisogno con un linguaggio comprensibile e privo di termini specialistici.
Ad esempio, se viene effettuata una diagnosi di Disturbo di Panico (DAP), Disturbo d’Ansia Generalizzata (DAG), Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) o Depressione nelle sue diverse forme, uno psicoterapeuta onesto e preparato sarà tenuto a comunicarvi che, secondo le linee guida nazionali e internazionali, il metodo psicoterapeutico che con maggiore probabilità comporterà una totale remissione dei sintomi è la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale che vanta un’efficacia pari o superiore agli psicofarmaci, soprattutto per la prevenzione delle ricadute future. Oppure, se siete stati vittime o avete assistito ad un evento traumatico o stressante (es. incidenti, malattie, lutti, quarantena, rapimenti, catastrofi naturali, omicidi, suicidi, violenza etc.), il vostro terapeuta sarà tenuto a comunicarvi che per una sana rielaborazione gli intervento psicoterapeutici più brevi ed efficaci secondo la letteratura scientifica sono il trattamento EMDR (Eye Movements Desensitization and Reprocessing) e la Flash Technique.
Dopo aver fatto i dovuti accertamenti e considerando che ogni situazione è diversa dall’altra, è bene sottolineare che sarà a discrezione del vostro psicoterapeuta decidere se ricorrere alla sola psicoterapia oppure se integrarla eventualmente con una terapia farmacologica, inviandovi ad un medico psichiatra di sua fiducia ed evitate di affidarvi a coloro che vi propongono delle terapie senza giustificarvi le prove di efficacia in relazione alla diagnosi che vi hanno fatto. In sostanza, se durante i primi incontri non vi sentite rassicurati e vi è poco chiaro ciò che andrete a fare e come andrete ad investire il vostro tempo e il vostro denaro, sarebbe opportuno che valutiate di affidarvi ad un altro professionista.
Inoltre, è altamente consigliabile stare alla larga da chiunque vi proponga trattamenti non riconosciuti dalla Medicina Basata sull’Evidenza Scientifica (EBM). Tra questi troviamo figure dal ruolo poco definito e dalle dubbie competenze professionali come iridologi, naturopati, maghi sensitivi, pranoterapeuti, cartomanti, astrologi, presunti esperti di fisica quantistica, counselor, coach professionisti e altri santoni che abilmente si nascondono dietro allettanti nomignoli inglesi. Infatti, questi individui sono privi di un valido percorso di studi universitario, commettono spesso un abuso della professione legalmente perseguibile, creando ulteriori danni all’intera popolazione e proponendo metodologie inutili in quanto prive di prove di efficacia. Il risultato atteso sarà la frustrazione di aver speso inutilmente del denaro senza aver risolto nulla.
Dunque, se state pensando di rivolgervi ad un professionista della salute mentale, mi auguro che le precedenti informazioni vi siano state d’aiuto affinché possiate scegliere con consapevolezza e decisione la figura professionale che dovrà occuparsi di voi.
BIBLIOGRAFIA
- Mancini F., “La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo compulsivo” (2016)
- Perdighe C., Mancini F.,“Elementi di psicoterapia cognitiva” (2010)
- Rainone A., Mancini F., “La mente depressa” (2018)
- Roth A., Fonagy P., “What works for whom? A critical review of psychotherapy research” (1996)
- Shapiro F., “EMDR. Principi fondamentali, protocolli e procedure (2019)
- Van Der Kolk B., “Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche” (2015)
- Wells A., “Cognitive therapy of anxiety disorders: a practice manual and conceptual guide” (1997)
SITOGRAFIA
- www.emdr.com
- emdr-europe.org
- emdr.it
Riconoscere e guarire i traumi del presente e del passato
INTRODUZIONE AL CONCETTO DI TRAUMA
Approfondire il concetto di Trauma è molto importante nel campo della salute mentale al fine di comprendere complessivamente l’eziopatogenesi della psicopatologia e delle conseguenze sugli individui.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il trauma può essere definito come il “risultato mentale di un evento o una serie di eventi improvvisi ed esterni in grado di rendere l’individuo temporaneamente inerme e di disgregare le sue strategie di difesa e di adattamento” (OMS, 2002). L’American Psychiatric Association definisce invece il Trauma psicologico come “l’essere presenti ad un evento che comporta la morte, lesioni o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altra persona con sui si è in stretta relazione” (APA, 1994). Prendendo spunto da tali definizioni postulate da tali internazionali fonti autorevoli, possiamo generalmente sintetizzare il Trauma come un “evento emotivamente non sostenibile per chi lo subisce” (Liotti, Farina, 2011) o “un evento stressante, dal quale non ci si può sottrarre, che sovrasta le capacità di resistenza dell’individuo” (van der Kolk, 1996) poiché si sviluppa in base alle capacità della persona nel sostenerne le conseguenze.
LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE DEL TRAUMA
I traumi non possono solamente essere considerati eventi singoli (es. calamità naturali, incidenti etc.) poiché riguardano anche le esperienze relazionali disfunzionali tra bambino e le persone che dovrebbero prendersi cura di lui. Infatti, i traumi relazionali precoci si caratterizzano per condizioni stabili, intense e ripetute nel tempo che mettono a repentaglio l’incolumità psicofisica del bambino e coincidono con la disorganizzazione dell’attaccamento (Schore, 2003) caratterizzata da una compromissione del senso di sicurezza, dalla difficoltà della gestione delle emozioni e degli impulsi e dall’incapacità di avere relazioni soddisfacenti.
Le esperienze sfavorevoli infantili avvenute prima dei diciotto anni come ricorrenti abusi fisici, psicologici o sessuali, presenza di persone con dipendenza da sostanze all’interno dell’ambiente familiare o di soggetti che hanno avuto problemi con la giustizia, membri della famiglia con disturbi mentali conclamati, presenza di violenza familiare, presenza di un solo o nessun genitore e la trascuratezza fisica ed emotiva predispongono l’individuo allo sviluppo di problematiche psichiatriche. Infatti, le esperienze sfavorevoli infantili si associano al 44% delle psicopatologie durante l’età dello sviluppo e al 30% delle forme in età adulta, costituendo dei potenti fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi psicologici in qualsiasi età (Kessler et al., 2010).
LE CONSEGUENZE ORGANICHE DEL TRAUMA
I Traumi hanno delle conseguenze negative non solo sulla salute psichica ma anche sulla salute fisica dell’individuo. Infatti, l’esposizione ad esperienze sfavorevoli in età evolutiva accelera le varie cause di morte negli adulti come la comparsa di un attacco ischemico o cardiaco, un cancro, una malattia cronica polmonare, le fratture scheletriche o le malattie al fegato (Felitti et al., 2012), Lo studio appena citato corrobora altri studi precedenti in cui era già stata dimostrata una correlazione significativa tra esperienze sfavorevoli in età infantile e depressione, abuso di sostanze, promiscuità sessuale e violenza domestica, cardiopatie, tumori, diabete e disturbi epatici (Felitti et al., 1998).
Determinate esperienze di maltrattamento e trascuratezza nell’infanzia si associano anche ad anomalie strutturali e funzionali in diverse regioni del cervello tra cui la corteccia prefrontale che regola le funzioni di logica e ragionamento, il corpo calloso che integra le attività tra i due emisferi e il sistema limbico deputato alla produzione e alla regolazione delle emozioni. Tali esperienze alterano anche la produzione del cortisolo e di altri neurotrasmettitori come adrenalina, dopamina e serotonina che regolano il tono dell’umore e diverse funziomi comportamentali.
Tali vissuti, se non vengono correttamente elaborati, continuano ad avere un impatto sulle strutture cerebrali, alterando le connessioni neurali e diventano così dei ricordi immagazzinati in una rete neurale in cui la capacità di elaborare l’informazione traumatica rimane interrotta. I ricordi di eventi traumatici rimangono così non verbali, frammentati, intrusivi e decontestualizzati e, non subendo il processo di elaborazione, causano i sintomi nel presente (Brewin et al., 1996)
IL TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DEL TRAUMA
Le linee guida dell’OMS sostengono che “la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale individuale o di gruppo (CBT) focalizzata sul trauma oppure la Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (EMDR) dovrebbero essere indicate per bambini, adolescenti e adulti con disturbo post-traumatico da stress” (WHO, 2013)”. Infatti, dopo un trauma o uno stress grave, con la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale e l’EMDR le persone prendono consapevolezza del fatto che ciò che è successo non si può cambiare ma si può ridurre l’impatto emotivo del ricordo traumatico, rielaborandolo in maniera più adattiva e facendo in modo che questo non dia più fastidio e rechi disagio nel presente. Di conseguenza, le persone lasceranno una volta per tutte il passato nel passato, recuperando la propria serenità, rafforzando gli aspetti della loro autostima e imparando ad avere più fiducia nelle loro capacità.
BIBLIOGRAFIA
- Amabili M., Di Domenico A., (2024). La Flash Technique. Rendere più accessibili e rielaborare le memorie traumatiche più travolgenti. Giovanni Fioriti Editore, Roma
- Brewin C. R., Dalgleish T., Joseph S., “A dual representation theory of post traumatic stress disorder” (1996)
- Felitti V.J., Robert F. A., “The relationship of Adverse Childhood Experiences to Adult Medical Disease, Psychiatric Disorders and Sexual Behaviour: Implications for Healthcar” (2012)
- Felitti V. J., Anda R. F., Williamson D. F., Spitz A. M., Edwards V., Koss M. P., Marks J. S., Nordenberg D., “Relationship of childhood abuse and household dysfunction to many of the leading causes of death in adults. The Adverse Childhood Experiences (ACE) Study” (1998)
- Kessler R. C., “Childhood aversities and adult psychopathology in the WHO World Mentale Health Surveys” (2010)
- Liotti G., Farina B., “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa” (2011)
- van der Kolk, Bessel A., “The complexity of adaptation to trauma: Self-regulation, stimulus discrimination, and characterological development” (1996)
SITOGRAFIA
- emdr.it
- who.it
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L’IMPATTO PSICOSOCIALE DELLA PANDEMIA DA COVID-19
La pandemia da Covid-19 sarà seguita da cambiamenti economici, psicologici, sociali e lavorativi che rappresentano indubbiamente elementi stressanti e traumatici non solo per il personale sanitario ma per tutta la popolazione mondiale. Infatti, ci troviamo a convivere con manifestazioni psicosomatiche legate alla quarantena e all’isolamento forzato, aumento dei conflitti familiari e relazionali a causa della limitazione dei propri spazi personali, sensazioni di incertezza e ansia verso il futuro, la perdita di persone care e il lutto conseguente, pensieri di ruminazione sul passato, rimuginio sul futuro, facile irritabilità, stanchezza cronica in assenza di sforzi eccessivi e difficoltà di concentrazione. Non sapendo quanto tutto questo durerà, è normale sperimentare sentimenti di impotenza e di angoscia, soprattutto perché al momento nessuno di noi possiede risorse e soluzioni rapide che ci permetteranno di uscire da questo caos.
LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE A BREVE E A LUNGO TERMINE DELLA PANDEMIA
Il nostro cervello e la nostra mente attraversano diversi step prima di adattarsi e dunque accettare gli eventi stressanti e traumatici a cui si è esposti, con il risultato finale di una lettura soggettiva meno catastrofica e più funzionale di essi.
Tuttavia, qualora questo processo di adattamento non si dovesse verificare, i disturbi mentali trovano un terreno favorevole per la loro crescita, andando a rovinare la qualità della vita delle persone. Infatti, a breve termine diverse forme di psicopatologia già presenti prima della pandemia potrebbero subire un aggravamento (es. disturbi d’ansia e dell’umore, ipocondria e schizofrenia). Inoltre, a lungo termine potrebbe verificarsi anche un aumento della categoria dei disturbi mentali caratterizzati da elementi di stress e trauma come il Disturbo Acuto da Stress, il Disturbo Post-Traumatico da Stress, il Disturbo dell’Adattamento e i Disturbi Dissociativi. Quest’ultimi presentano diversi sintomi psicologici tra i quali difficoltà cronica di concentrazione, comportamenti spericolati che mettono a rischio la propria e l’altrui incolumità, facile irritabilità ed esplosioni di rabbia, sensazioni di distacco ed estraneità verso gli altri, riduzione dell’interesse o di partecipazione a tutto ciò che prima apparteneva alla quotidianità, umore negativo persistente unito a difficoltà a provare emozioni positive, disturbi del sonno e insorgenza di ricordi intrusivi di tipo negativo.
L’INSORGENZA DELLO STRESS E DEL TRAUMA CONSEGUENTI AL COVID-19
Per quanto riguarda un approfondimento generale sul Trauma, vi rimando alla lettura di un altro articolo del mio blog “Riconoscere e guarire i traumi del presente e del passato”. Invece, in relazione alle sindromi traumatiche conseguente alla pandemia, ritengo opportuno soffermarmi sulle loro conseguenze devastanti come la compromissione globale del funzionamento emotivo e comportamentale delle persone e la tendenza alla cronicizzazione che si associano ad un peggioramento della qualità della vita.
Inoltre, bisogna anche considerare le difficoltà a fare una corretta diagnosi da un personale sanitario poco formato sulla psicotraumatologia che spesso tende a trattare tali disturbi solamente in maniera marginale, focalizzandosi solamente alcune delle loro manifestazioni secondarie (es. ansia, panico, depressione, insonnia, somatizzazioni di origine non organica, abuso di sostanze). Di conseguenza, si potrebbe rischiare una saturazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), assistere ad un errato incremento della prescrizione di psicofarmaci ansiolitici che avranno effetti collaterali di dipendenza (es. benzodiazepine) ed uno scarso impiego di interventi efficaci basati sull’evidenza scientifica come la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale e il trattamento EMDR.
CURARE EFFICACEMENTE E IN BREVE TEMPO LO STRESS E IL TRAUMA DA COVID-19
Poiché tra poco tempo è molto probabile che si verificherà sia un peggioramento delle psicopatologie già presenti sia un esordio delle sindromi post traumatiche, l’azione più opportuna da fare per preservare e migliorare la propria salute mentale in maniera ottimale è rivolgersi esclusivamente a professionisti che abbiano conseguito una specializzazione in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale, un’adeguata formazione in psicologia dell’emergenza e abbiano esperienza nel trattamento EMDR.
Infatti, tali affermazioni sono supportate da fonti autorevoli come l’Organizzazione Mondiale della Sanità in cui viene espressamente dichiarato che “la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale individuale o di gruppo (CBT) focalizzata sul trauma oppure la Desinsibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari (EMDR) dovrebbero essere indicate per bambini, adolescenti e adulti con disturbo da stress post traumatico” (OMS, 2013). Infatti, la CBT e l’EMDR sono metodiche psicoterapeutiche di larga efficacia poiché sono basate sull’evidenza scientifica che saranno di grande giovamento alle persone, aiutandole a rielaborare le esperienze emotivamente devastanti associate agli eventi stressanti e di conseguenza a recuperare la propria serenità.
In aggiunta a ciò, se vi accorgete di avere sintomi da Long Covid come nebbia cognitiva, stanchezza cronica o problematiche di memoria e di attenzione non dovute a cause neurologiche è consigliato integrate le precedenti forme di terapia con Fotobiomodulazione (NIR) e la Stimolazione Magnetica Transcranica (fTMS).
BIBLIOGRAFIA
- American Psychiatric Association., “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – V Edizione” (2013)
- Fagiolini A., Cuomo A., Frank E., “COVID-19 Diary From a Psychiatry Department in Italy” (2020)
- Freeman M. P., “COVID-19 From a Psychiatry Perspective: Meeting the Challenges” (2020)
- Liotti G., Farina B., “Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa” (2011)
- Perdighe C., Mancini F., “Elementi di psicoterapia cognitiva” (2010)
- Petrilli D., “EMDR. Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari. Caratteristiche distintive” (2014)
- Samantha K. Brooks, Rebecca K. Webster, Louise E. Smith, Lisa Woodland, Simon Wessely, Neil Greenberg, Gideon James Rubin, “The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence” (2020)
- van der Kolk, Bessel A., “The complexity of adaptation to trauma: Self-regulation, stimulus discrimination, and characterological development” (1996)
SITOGRAFIA
- emdr.it
- thelancet.com
- psycnet.apa.org
- who.it